The Beatles
Non si può non ammettere che ancora oggi i Beatles sono la principale ispirazione per decine e decine di gruppi pop inglesi e non solo, anzi sicuramente possono considerarsi capostipiti della musica leggera moderna. La loro storia inizia nel lontano 1957 nella città di Liverpool, quando il diciassettenne John Lennon (nato il 9 ottobre del 1940) e un quindicenne Paul McCartney (nato il 18 giugno del 1942) si incontrano per la prima volta su un palcoscenico alla Woolton Parish Church durante un concerto rock: sono entrambi chitarristi in due differenti gruppetti di dilettanti.
Inizia cosi un rapporto destinato a produrre una quantità enorme di canzoni storiche; inizia con due ragazzi che decidono di perfezionare insieme la loro a quel tempo scarsa tecnica chitarristica. Non ci vuole molto perché al duo si aggiunga un compagno di scuola di Paul, George Harrison (nato il 25 febbraio del 1945).
Nel 1958 è pronto il primo nucleo dei futuri Beatles, anche se si chiamavano Quarrymen e propongono una strana miscela di musica skiffle (una musica “povera” a base di jazz tradizionale e rhythm blues) e rock’n’roll. Ma in quell’anno un tragico evento contribuisce a rendere più intrasigente il carattere già ribelle di John Lennon: muore in un incidente stradale la madre Julia, a cui verrà dedicata, nel famoso “album bianco” del 1968, l’omonima canzone. La musica, allora, diventa la prima ragione di vita e dopo un periodo di incertezze, Lennon guida i futuri Beatles verso miglioramenti tecnici quotidiani. In contraddizione con tutto ciò, si aggiunge al gruppo nel 1959 in qualità di bassista il poco esperto Stuart Sutcliffe: il basso, come strumento, addirittura non lo conosce affatto, ma ha abbastanza soldi per poter comprare una strumentazione decente e, perciò, il gioco è fatto. Manca solo un batterista e, un anno dopo viene trovato nella persona di Pete Best. Così nel 1960 dopo vari cambi di nome (da Johnny & the Moondogs a Moondogs, da Silverbeatles a Beatles), il gruppo parte per Amburgo con, per la prima volta, la promessa di una vera paga: 25 sterline alla settimana ciascuno.
I giorni di Amburgo sono appassionati e ricchi di avventure: è qui che viene inventato il look dei Beatles grazie ad Astrid Kirchher, una fan tedesca che studia per loro gli abiti e quel particolare taglio di capelli che farà storia. Il fermento che si è crea in Germania intorno ai quattro ragazzi serve a far crescere le loro quotazioni anche in patria: tornati a Liverpool si esibiscono al “Cavern Club” e la loro fama di nuova eccitante attrazione della musica pop si accresce a dismisura. Li vogliono ancora in Germania nel 1961 e qui incidono il loro primo 45 giri, My Bonnie, come gruppo spalla del cantante Tony Sheridan. È solo la prima esperienza: senza più Stuard Sutcliffe ( che morirà nel 1962 in seguito a una emorragia cerebrale), ma con Paul McCarteny passato definitivamente dalla chitarra al basso, i Beatles si incontrano con Braian Epstein. È un giro di boa fondamentale: Epstein, abbastanza introdotto nell’ambiante musicale, diventa subito l’appassionato manager del gruppo giocando un ruolo determinante nell’ascesa dei ragazzi di Liverpool.
La prima mossa è un provino alla Decca il primo gennaio del 1962: nessuno della casa discografica intuisce il potenziale dei Beatles commettendo uno degli errori più macroscopici della storia del mercato discografico. Altra porta a cui bussare è quella in Abbery Road (celebrata più tardi in un famoso album), sede della grande casa discografica EMI. Qui c’è un produttore, George Martin, che capisce alla perfezione il valore dei ragazzi. Unico neo, secondo lui, è il batterista Pete Best. Ma i Beatles non ci pensano troppo: firmano il contratto con la EMI e licenziano Best chiamando alla batteria Ringo Starr, che avevano conosciuto ad Amburgo mentre suonava con i Rory Storm & the Hurricanes. Ora il mitico gruppo è pronto e Love me do, uscita il 4 ottobre del 1962, fa conoscere al mondo una nuova fantastica realtà musicale.
Il 1963 è l’anno decisivo: le loro tournée in patria con Tommy Roe e Chris Montez e poi quelle con Gerry and the Pacemaker e con Roy Orbison registrano tutto esaurito, cosi come quella in Svezia e contribuiscono a mandare in classifica splendidi singoli come From me to you (pubblicato l’11 aprile),She loves you (pubblicato il 23 agosto) e I want to hold your hand (pubblicato il 29 novembre). L’anno si conclude poi con la partecipazione a uno spettacolo di varietà in onore della regina: la “beatlemania” è definitivamente esplosa e il gruppo può permettersi di tutto, anche di dire, come ha fatto John Lennon proprio durante il concerto in onore della regina: “Quelli che occupano i posti economici applaudano, il resto di voi può far tintinnare i gioielli.” Dopo un favoloso 1963 i Beatles decidono di “attaccare” gli Stati Uniti, con il desiderio di ripetere i trionfi europei. L’immaginazione in questo caso, viene superata dalla realtà: una vera isteria di massa accoglie il gruppo inglese ai concerti al “Coliseum” di Washington e alla “Carnegie Hall” di New York, dopo la partecipazione al prestigioso show televisivo di Ed Sullivan. I successi pubblicati in quest’anno sono tanti: Can’t buy me love e I feel fine in testa, oltre agli album Beatles for sale e A hard day’s night. Proprio “A hard day’s night” è anche il titolo del primo film girato dai Beatles, un passo decisivo per allargare il raggio d’azione del gruppo nel mondo dello spettacolo.
Il bis nel mondo della celluloide avviene l’anno successivo con “Help”, subito dopo un memorabile concerto americano allo Shea Stadium. Dall’America all’Europa, ormai l’esercito dei fans dei Beatles ha ingrossato le file e il 1965 e il 1966 vedono la pubblicazione di altri brani storici come Ticket to ride, Day tripper, Paperback write, Rain, Eleonor Rigby e Yellow submarine, a fianco ad album altrettanto essenziali come Rubber soul e Revolver. L’estate del 1966 è dedicata interamente alle tournée che toccano Germania, Giappone; Manila e Stati Uniti, a ulteriore conferma dell’immenso successo del gruppo. La prima fase storica dei Beatles a questo punto si conclude. Proprio con Paperback write e Eleonor Rigby i quattro di Liverpool dimostrano la loro grande abilità nel far crescere il contenuto dei testi e la creatività musicale. Iniziano ad occuparsi di argomenti più strategicamente sociali, abbandonando gradualmente il terreno dei convenzionali temi romantici.
Le loro canzoni degli inizi avevano già cambiato il corso del rock, grazie a quelle splendide melodie e a quelle parole che, pur occupandosi quasi esclusivamente di rapporti d’amore, catturavano l’essenza del problema con lucidità e realismo. La coppia d’autori Lennon-McCartney, però, ha ambizioni ancora più grandi e, di fatto, riesce a concretizzare un modo di scrivere canzoni che servirà da esempio per tutti i musicisti rock degli anni settanta, contribuendo a dare una dignità letteraria anche al mondo della canzone. La fine del 1966 segna l’inizio della seconda fase della storia dei “faboulous Four”, in novembre il quertetto decide di smettere di suonare dal vivo (dopo l’ultimo concerto ha San Francisco in agosto) e si ritrova in studio per raccogliere i frutti della svolta. Senza l’assillo delle tournée l’impegno compositivo conquista maggiore spazio. E in quel novembre del 1966 prende forma il lungo progetto che dopo sette mesi porterà alla pubblicazione di Sgt. Pepper’s lonely hearts club band. Le prime sedute di registrazione vedono nascere tre canzoni: When I’m sixty-four, Strawberry feild forever e Penny Lane.
La prima entrerà nell’album, le altre due verranno pubblicate nel febbraio del 1967 in versione 45 giri con doppio lato A, per evitare discriminazioni. Con questo singolo in testa alle classifiche i Beatles proseguono il lavoro di registrazione si Sgt. Pepper’s e allargano il campo delle ricerche sonore già sperimentate in Revolver, affiancando per la prima volta il sistematico uso innovativo della fase di mixaggio, merito in gran parte del produttore George Martin e al tecnico Geoff Emerick. Nel giugno 1967 mentre Sgt. Pepper’s riscuote l’attenzione di tutto il mondo, i Beatles ritornano in studio di registrazione per incidere All you need is love, forse il loro più sincero contributo alla cultura pacifista del “flower power”. Il 27 agosto, mentre i beatles si trovano in Scozia per seguire gli insegnamenti spirituali del Maharishi, per una eccessiva dose di sonniferi muore il manager Brian Epstein, guida amministrativa e programmatica del gruppo: questa scomparsa contribuirà in modo determinante allo scioglimento del quantetto un paio di anni dopo.
Il 26 dicembre la BBC trasmette il film “Magical mistery tour” episodio sperimentale di cinematografia e musica nel quale i Beatles inseriscono alcune belle canzoni di questo periodo psichedelico come Hello goodbye e I am the walrus (primo posto in classifica). Il 1968 i quattro sono impegnati per proprio conto in attività troppo diverse per essere condivise: Ringo Starr si dedica sempre di più al cinema, Harrison si reca spesso in India, Lennon vive la sua storia di amore e di arte con Yoko Ono. Il più “tranquillo” sembra essere McCartney, completamente inserito nella nuova parte di mente del gruppo dopo la morte di Epstein. Proprio alla penna di Paul si deve Lady Madonna, il nuovo singolo che in marzo conquista un altro primo posto in classifica. Ma è in luglio che i Beatles sono protagonisti di quello che può essere considerato il loro ultimo capolavoro. Viene infatti presentato il film “Yellow submarine”, una storia a disegni animati nella quale vengono mescolati alcuni elementi della recente vita artistica del gruppo: i quattro si imbarcano su un sottomarino giallo per salvare la banda dei cuori solitari del sergente Pepper.
Il tutto in una esplosione di colori e di suoni che sottolinea la dimensione psichedelica del film. Intanto prende anche il via la breve attività della casa discografica Apple Records con dischi tra cui compare il cantautore americano James Taylor, ma questa iniziativa avrà fiato corto. Alla fine di agosto ecco un altro capitolo fondamentale, la pubblicazione del singolo contenente Hey Jude e Revolution (ancora primo in classifica). Alla fine del 1968 i Beatles danno alle stampe un doppio album senza titolo che passerà alla storia come The white album, con un repertorio di belle canzoni di stile differente :Beck in the Ussr, Blackbird, Dear Prudence, While my guitar gently weeps (di Harrison con un assolo di Eric Clapton). Ma i Beatles stanno tirando gli ultimi colpi. È sempre piu’ difficile per i quattro ritrovarsi insieme a causa dei diversi interessi, diverse sensibilità e perfino nuovi amori tagliano le gambe alla vecchia amicizia (in questo periodo McCartney incontra Linda Estman). Nel 1969 Lennon e Harrison vengono fermati e rilasciati per possesso di stuperfacenti; Lennon e Ono si sposano a Gibilterra; Ringo recita in “The magic Christian”, un film con Peter Sellers. I brevi periodi insieme vengono documentati nel film “Let it be”, che uscirà nel 1970, e che comprende la famosa sequenza nella quale i Beatles cantano a sorpresa Get back sul tetto della Apple (ancora prima in classifica).
Nel settembre 1969 esce l’album Abery Road di alto livello qualitativo nonostante il confuso periodo: Come together, Something e Here comes the sun (di Harrison) sono alcuni dei brani. Nel marzo 1970 ecco una delle tappe conclusive della storia dei Beatles: esce il singolo Let it be ma fallisce l’appuntamento con il vertice della classifica. Il gruppo è allo sbando, Starr e McCartney pubblicano da solisti. È la fine: le voci sullo scioglimento si moltiplicano e non basta la pubblicazione dell’album Let it be a migliorare la situazione. Proprio la canzone Let it be suona anzi come il testamento di una storia bella e irripetibile, capolinea di quella strada lunga e ventosa (The long and winding road è il titolo di un’altra bella canzone del disco) arrivata allo STOP.
Rolling Stones
Dopo aver lavorato per il club Crawdaddy di proprietà di Giorgio Gomelsky, a Richmond, gli Stones finiscono sotto l’ala protettrice di Andrew Loog Oldham, che ne produce i primi singoli. Il provino discografico alla Decca risulta essere un successo e il gruppo ottiene il primo contratto, pubblicando come singolo di debutto “Come on”, una cover di Chuck Berry. La formazione degli Stones perde quasi subito (almeno nelle apparizioni pubbliche) il pianista Ian Stewart, considerato esteticamente non all’altezza degli altri, mentre esce nei negozi il nuovo singolo del gruppo, un pezzo firmato dai Beatles e intitolato “I wanna be your man”, che permette al gruppo di entrare per la prima volta nella top ten inglese nel gennaio 1964. Gli Stones si pongono subito come il contraltare trasgressivo dei più pacifici e tranquillizzanti Beatles, scandalizzando le platee per le movenze sinuose ed erotiche del cantante Mick Jagger oltre che per la cattiva reputazione che aleggia sugli altri componenti del gruppo, e in particolar modo su Jones e Richards.
Il primo album, THE ROLLING STONES, viene pubblicato nel ’64 e contiene soltanto materiale di altri autori, ma gli Stones dimostrano di poter fare meglio con il terzo singolo, “Not fade away” (un’altra cover, questa volta di un grande successo di Buddy Holly). Un primo tour degli Stati Uniti si rivela prematuro e vede gli Stones tornare in patria stanchi e frustrati: ma tutto è ormai pronto per il grande salto e la cover di “It’s all over now” dei Valentino’s procura loro il primo numero uno in classifica. L’Ep FIVE BY FIVE li aiuta a consolidare la loro crescente reputazione ed amplia a dismisura il pubblico dei concerti. Il ritorno negli Stati Uniti con l’apparizione all’Ed Sullivan Show lascia ancora freddo il pubblico nordamericano mentre in Gran Bretagna, al contrario, il fenomeno Stones cresce in continuazione. Nel novembre 1964 il singolo "Little red rooster" debutta al numero uno della NME chart, privilegio accordato in precedenza solo ai Beatles e ad Elvis Presley.
A questo punto, la svolta: il manager Oldham li costringe a scriversi da soli le canzoni, pensando che Jagger e Richards siano ormai abbastanza maturi per farlo. I loro primi sforzi si chiamano "It should have been you" e "Will you be my lover tonight?", brani non memorabili, ma nello stesso periodo la coppia estrae dal cappello anche una splendida "As tears go by" destinata alla fidanzata del cantante, Marianne Faithfull. A far capitolare l’America provvede "(I can't get no) Satisfaction", il primo grande classico del gruppo, un riff che riassume tutto il meglio espresso dal rock fino a quel momento. Il 1965 si completa con il successo di "Get off of my cloud", dall’Ep GOT LIVE IF YOU WANT IT! e dell’album THE ROLLING STONES NO. 2. Con questi presupposti è uno scherzo strappare un ottimo rinnovo di contratto alla Decca, proprio mentre il gruppo inizia a sfornare singoli originali tanto dal punto di vista testuale ("Mother's little helper") che musicale ("Lady Jane"): entrambi i brani vengono inseriti nel nuovo album AFTERMATH, un lavoro maturo ed esplosivo che riconosce agli Stones un ruolo ormai primario sulla scena musicale. La misoginia del gruppo si esprime in "Under my thumb" e nell’acerba "Stupid girl", mentre nelle classifiche vola alto "19th nervous breakdown". Il 45 giri "Paint it, black" riesce anche a fare di meglio, con il suo stile vagamente indiano e una performance di Jagger appassionata. Da menzionare anche un altro importante singolo della stessa epoca, "Have you seen your mother baby?", testimonianza di un periodo musicalmente avventuroso.
Il 1967 inizia con un ottimo singolo a doppia facciata A, "Let's spend the night together" / "Ruby tuesday" che però, proprio come "Penny Lane" / "Strawberry fields forever" dei Beatles, non raggiunge il primo posto in classifica. L’album che ne accompagna l’uscita, BETWEEN THE BUTTONS, rappresenta l’ultimo sforzo di collaborazione con il manager Oldham il quale, sempre meno entusiasta degli atteggiamenti bohèmien del gruppo, decide di cedere le sue quote al partner Allen Klein. Dal canto loro Jagger e Richards pensano bene di farsi arrestare per possesso di droga, imitati poco dopo da Brian Jones. Le pene comminate ai tre sono pesanti e condizionano non poco l’attività artistica del periodo: a ricordo di quell’esperienza, il singolo "We love you" presenta in sottofondo il rumore di una cella che si chiude. Il salto nel mondo lisergico e psichedelico già esplorato dai Beatles di SGT. PEPPER’S avviene con THEIR SATANIC MAJESTIES REQUEST, che manca però di un indirizzo preciso e propone melodie più inerti e meno convincenti delle precedenti. Per tornare ad ascoltare gli Stones al loro meglio bisogna aspettare l’estate del 1968 con l’uscità di "Jumpin' Jack flash", singolo che anticipa un ottimo album, BEGGAR'S BANQUET, in cui figurano brani mitici come "Street fighting man" e "Sympathy for the devil".
Mentre il gruppo inizia a recuperare salute, Brian Jones sembra precipitare nei labirinti della droga: le gelosie nei confronti di Mick Jagger si acuiscono e il “furto” della sua ragazza Anita Pallenberg da parte di Richards è la goccia che fa traboccare il vaso. Nel giugno del 1969 Jones lascia il gruppo, e soltanto un mese dopo viene ritrovato morto annegato nella sua piscina. Due giorni dopo il gruppo celebra l’ex amico scomparso con un concerto gratuito ad Hyde Park (Londra), cui partecipano 250 mila persone. Ma i drammi non sono finiti: tre giorni dopo tenta il suicidio (senza riuscirci) la fidanzata di Jagger, Marianne Faithfull. Con questi eventi si conclude in un certo senso il primo capitolo della storia degli Stones.
Il nuovo corso inizia con un misto di successo e di disgrazie: il singolo "Honky tonk women" li tiene a lungo al numero uno delle classifiche, ed eccezionale è anche il nuovo album, LET IT BLEED, che contiene classici come "Gimme shelter", "You can't always get what you want" e "Midnight rambler". Il gruppo, di cui ora fa parte il chitarrista Mick Taylor, già con i Bluesbreakers di John Mayall, si esibisce al Festival di Altamont in California in una tragica notte in cui un Hell’s Angel addetto al servizio d’ordine uccide a coltellate uno spettatore durante l’esecuzione di "Under my thumb". La tragedia viene filmata e diventa un film distribuito l’anno successivo, “Gimme shelter”. Il 1970 diventa per forza di cose un anno tranquillo: dopo aver concluso il rapporto con la Decca con il live GET YER YA-YA'S OUT, gli Stones aprono la loro etichetta, per la quale fanno subito uscire il singolo a tre brani "Brown sugar" / "Bitch" / "Let it rock", una vera e propria dichiarazione d’intenti. Il nuovo album STICKY FINGERS si rivela da subito un classico, con brani come "You gotta move", "Moonlight mile", "Wild horses" e la non tranquillizzante "Sister Morphine". Il disco è permeato di immagini connesse alla morte e al sesso, e la copertina si avvale di uno splendido lavoro di Andy Warhol.
Dopo un anno gli Stones tornano alla carica con un altro capolavoro, il doppio album EXILE ON MAIN STREET: è il disco di impronta più marcatamente rock’n’blues registrato dalla band, evidentemente sotto la direzione del “duro” del gruppo, Keith Richards. Al contrario, il successivo GOAT'S HEAD SOUP appare decisamente sottotono anche se frutta un numero uno negli States con la ballata "Angie". IT'S ONLY ROCK‘N’ROLL, l’album del 1974, oltre a contenere la title-track regala ai fan una cover del brano dei Temptations "Ain't too proud to beg". Quell’anno fa registrare anche la dipartita dal gruppo di Mick Taylor, rimpiazzato dall’ex Faces Ronnie Wood in occasione dell’uscita di BLACK AND BLUE: con risultati alterni, la raccolta fa del suo meglio per coniugare le classiche sonorità Stones con influenze caraibiche.
A partire dalla seconda metà degli anni ’70 l’attività concertistica e discografica degli Stones rallenta i ritmi: inoltre le Pietre rotolanti devono fronteggiare il neonato movimento punk e la sua furia iconoclasta nei confronti delle vecchie stelle del rock. Il loro ritorno sulle scene avviene comunque con un ottimo album, SOME GIRLS, che contiene un brano irresistibile come "Shattered" e il primo tentativo smaccatamente “disco” dopo la "Hot stuff" contenuta nel precedente BLACK AND BLUE: "Miss You" è il pezzo che li conduce dritti al primo posto delle classifiche inglesi, mentre desta meraviglia il tributo country di "Far away eyes" e convince tutti la tensione elettrica di "Beast of burden" (in seguito riproposta in un esilarante duetto da Jagger con l’attrice e cantante Bette Midler).
Dopo una serie di vicissitudini personali (Jagger divorzia dalla moglie Bianca e Richards viene nuovamente perseguito per questioni di droga), è il 1980 quando il gruppo torna a farsi vivo con EMOTIONAL RESCUE, Lp leggero e dominato dall’uso di ritmi dance ma anche capace di esibire splendidi brani come "Let me go" e "Indian girl". L’album si piazza al primo posto nelle classifiche inglesi (non avveniva dal 1973) e permette al gruppo di sfruttare il rinnovato successo mondiale con un tour poi immortalato nel live STILL LIFE. Un anno dopo, nel 1981, esce TATTOO YOU, prova eccellente che contiene almeno un pezzo da leggenda, "Start me up", non a caso utilizzato dagli Stones per aprire tutti i concerti del decennio successivo. Meno felice è UNDERCOVER mentre le cose vanno meglio, nel 1986, con DIRTY WORK, contenente il singolo "Harlem shuffle", la tostissima "One hit to the body" e un paio di ottimi assoli di chitarra dell’ex Zeppelin Jimmy Page. A questo punto esplodono le velleità soliste di Jagger e il vocalist pubblica nel 1985 l’album SHE'S THE BOSS, in cui il canto magistrale non può supplire del tutto alla debolezza del materiale e alla totale mancanza di direzione. Nel 1987 il Nostro riesce a fare di peggio con PRIMITIVE COOL, in assoluto uno dei punti più bassi della sua carriera; un anno dopo tocca a Richards pubblicare TALK IS CHEAP. Provato dagli insuccessi personali, Jagger torna alla base nel 1989 per il nuovo album degli Stones, STEEL WHEELS: in scaletta almeno un pezzo epico, "Rock and a hard place".
Gli anni ’90 vedono la band di nuovo in giro per il mondo per una serie di tournée di dimensioni faraoniche: al termine dello “Steel wheels tour” il gruppo ne approfitta per pubblicare un nuovo live, FLASHPOINT. Un anno dopo l’uscita del terzo album solista di Jagger WANDERING SPIRIT e due anni dopo MAIN OFFENDER di Richards, nel 1994 VOODOO LOUNGE propone i Rolling nuovamente in gran spolvero, con un suono che è ormai semplicemente un marchio di garanzia. Il gruppo si presenta per la prima volta senza il bassista Bill Wyman, stanco della vita on the road e in disaccordo personale con alcuni dei suoi ex compagni: il suo posto viene preso, più o meno stabilmente, dall’ex pupillo di Miles Davis Darryl Jones, bassista di solida estrazione jazz e funk. Dopo il “Voodoo lounge tour” del 1995 gli Stones pubblicano un album semi-acustico, STRIPPED, contenente ottime versioni di "Street fighting man", "Wild horses", "Let it bleed" e la cover di “Like a rolling stone” di Bob Dylan. Con il 1997 è la volta di un nuovo album e di un nuovo tour, entrambi intitolati BRIDGES TO BABYLON. Da quella serie di concerti, nel 1998, viene tratto un disco dal vivo intitolato NO SECURITY.
Nel 2001 esce il quarto lavoro solista del cantante, GODDESS IN THE DOORWAY. Un anno più tardi affiorano quattro inediti degli Stones nella doppia antologia FORTY LICKS, la prima ad includere brani estratti dall’intera produzione discografica della band in virtù di un accordo fra tutte le etichette coinvolte. Ancora una volta, Jagger, Richards e Watts tornano a fare i globetrotters imbarcandosi in una nuova serie di concerti che prende il via da Boston nei primi giorni del settembre 2002 e li porta in giro per il mondo fino alla seconda metà del 2003, rendendo il "Licks world tour" il blockbuster dell'anno al botteghino (sono oltre due milioni gli spettatori complessivi). L'esperienza live viene celebrata prima con "Four flicks", un quadruplo Dvd uscito per il Natale 2003 e, a quasi un anno di distanza, dal doppio Cd LIVE LICKS, nel quale gli Stones propongono un disco di classici e uno di pezzi meno noti e cover. Nell’estate del 2005, dopo che la salute di Charlie Watts ha tenuto la band in ansia per un po’ (tumore alla gola), i Rolling Stones tornano con A BIGGER BANG, il primo album di studio degli ultimi otto anni: è un rientro di tutto rispetto che, oltre a lanciare uno dei migliori dischi da loro pubblicati negli ultimi due decenni, lancia l’ennesimo tour mondiale. Poco dopo, viene annunciata la pubblicazione di RARITIES 1971–2003, raccolta di brani inediti su Cd e B-side della band.
Nel marzo del 2007 la band annuncia un tour europeo dal titolo “The bigger bang 2007”, da cui viene tratto un cofanetto Dvd, una sorta di documentario di sette ore su alcuni concerti della tournée. Nell’ottobre dello stesso anno Mick Jagger realizza una compilation da solista THE VERY BEST OF MICK JAGGER, che include anche tre inediti. A novembre viene pubblicata la doppia raccolta ROLLED GOLD+: THE VERY BEST OF ROLLING STONES. Il 1° aprile 2008 esce SHINE A LIGHT, la colonna sonora del film-concerto omonimo girato da Martin Scorsese in uscita nello stesso anno.
Il 18 maggio 2010, inaugurando il passaggio alla nuova major Universal, i Rolling Stones pubblicano una versione rimasterizzata del classico del 1972 EXILE ON MAIN ST, proponendone anche una versione deluxe con 10 pezzi extra; di questi due sono alternate track delle originali “Loving cup” e “Soul survivor”, mentre otto sono brani inediti recuperati dagli archivi dell'epoca e postprodotti da Don Was. Nel 2012, dopo la partecipazione di Jagger al supergruppo Superheavy, esce “Crossfire Hurricane”, docufilm che racconta la storia del gruppo a partire dagli anni Sessanta: è parte delle celebrazioni per i 50 anni del gruppo, che partono un po' a rilento e vengono svelate poco per volta, e comprendono una nuova raccolta, GRRR!, contenente 2 inediti. Nel novembre 2012, dopo alcuni concerti per intimi a Parigi, alcune date a Londra danno il via al tour del cinquantennale il cui picco è rappresentato da due concerti estivi nel 2013 a Hyde Park documentati dal Dvd “Sweet Summer Sun” (anche in digitale, messo in vendita per un periodo limitato, e in Dvd+2Cd). Nel febbraio 2014 gli Stones partono per un nuovo giro di concerti drammaticamente interrotti in marzo: mentre la formazione si trova in Australia, a New York si suicida la fidanzata di Jagger, la stilista L’Wren Scott. La la band torna in tour a fine 2015 e poi ancora nel 2015 con lo "Zip tour", in contemporanea ad una ripubblicazione in versione espansa di STICKY FINGERS, che viene riletto anche dal vivo in una serata speciale pirma della partenza della tournée (si veda STICKY FINGERS LIVE uscito su CD e DVD nel 2017).
A marzo 2016 la band si esibisce in uno storico concerto a L'Avana, che poi diventa un film, un DVD e un album dal vivo, HAVANA MOON. Quest'ultimo esce l'11 novembre, tre settimane prima di BLUE & LONESOME, primo disco di studio in oltre 10 anni, composto da riletture di classici blues. Nel settembre 2017 tornano in Italia con un concerto di fronte a oltre 50.000 persone ai piedi delle mura di Lucca.
(26 ott 2017)
Com’è nato il logo dei Rolling Stones
La linguaccia più famosa della storia del rock fu ispirata dalla bocca di Mick Jagger e dalla lingua della dea indiana Kali. A disegnarla, nel 1971, fu un giovane studente inglese. Per sole 50 sterline.
Tutti conoscono il logo dei Rolling Stones, ma lo stesso non si può dire della sua storia. La celebre bocca rossa con la linguaccia fu disegnata nel 1971 e comparve per la prima volta all’interno della copertina dell’album Sticky Fingers, che la band di Mick Jagger ha recentemente ripubblicato, in una versione deluxe con versioni rivisitate dei brani più iconici.
In occasione del cinquantenario del gruppo, lo stesso logo – che per mezzo secolo ha mantenuto intatta la sua spregiudicatezza, alla faccia di mode e trend momentanei – ha conosciuto il primo, leggero restyling della sua storia, a opera di Shepard Fairey.
Il logo lips and tongue è nato dalla matita di John Pasche, uno studente del Royal College of Art, che si lasciò ispirare dalla bocca “importante” del cantante della rock band e dalla lingua della dea indiana Kali.
Al logo ci mise mano anche Craig Braun, direttore creativo della Sound Packaging Corporation, che al tempo si stava occupando della cover dello storico album della band e che intervenne su una versione ancora non finita del disegno.
Il logo fu pagato al giovane designer soltanto 50 sterline, a cui se ne aggiunsero poi altri 26mila nel 1984 per i diritti. Pensare che, nel 2008, il solo bozzetto originale è stato venduto al Victoria and Albert Museum di Londra per la cifra di 50mila sterline.
Giorgio Moroder

Giovanni Giorgio Moroder nasce il 26 aprile del 1940 a Ortisei, in Val Gardena, da una famiglia della media borghesia. Da adolescente frequenta una scuola d'arte della sua città natale, per poi iscriversi all'istituto tecnico per geometri di Bolzano. Appassionatosi alla musica, impara a suonare la chitarra, e tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta gira l'Europa facendo parte di diverse band, la più famosa delle quali è The Happy Trio, che ha anche l'opportunità di esibirsi al London's Savoy Hotel. Nel 1967 Giorgio Moroder si sposta a Berlino, e qui inizia a scrivere demo e canzoni per altri artisti oltre che per se stesso. La prima canzone di successo è "Ich Sprenge Alle Ketten", di Ricky Shayne; poco dopo, Moroder assume il nome d'arte di Giorgio (e poi George), incidendo diversi 45 giri con la Miura e con la First: nel 1970 è al Cantagiro con il brano "Looky Looky". In seguito l'artista altoatesino si trasferisce a Monaco, dove fonda l'Arabella House, il suo primo studio di registrazione. Autore con Chicory Tip di "Son of my father", che ottiene un discreto successo, attraversa l'oceano e si sposta negli Stati Uniti per la promozione della canzone "Giorgio". È il 1972, anno in cui Moroder comincia a collaborare con Pete Bellotte: i due, tra l'altro, effettuano alcune registrazioni con Donna Summer, con la quale pubblicano "Hostage". Al 1974 (anno in cui Giorgio incide il disco "Giorgio's music") risale "Lady of the night", mentre dell'anno successivo è "Love to love you baby": nel frattempo, Giorgio Moroder registra l'album "Einzelgaenger", cui fanno seguito "Knights in white satine", "From here to eternity", "Munich Machine - Munich Machine" e "Battlestar Galactica".
La fine degli anni Settanta vede il successo di numerosi pezzi di disco elettronica: dopo "Get on the funk train", tocca a "The runner" (per The Three Degrees) e "Beat the clock" (per gli Sparks). Ma questi sono anche gli anni di "I feel love" di Donna Summer e "The Chase", che fa parte della colonna sonora del film "Fuga di mezzanotte" e che si aggiudica un Premio Oscar. Da quel momento, Giorgio inizia a occuparsi anche della musica dei film: in "Thank God. It's Friday" c'è "Last dance", interpretata da Donna Summer, mentre degli anni Ottanta sono le colonne sonore di "American gigolo", "Scarface", "Flashdance" ("Flashdance
What a feeling" nel 1984 vince l'Oscar per la migliore canzone) e "Top Gun" ("Take my breath away" nel 1987 vince l'Oscar per la migliore canzone).
Nel 1984 l'artista italiano lavora a una riedizione di "Metropolis", film di Fritz Lang che viene riformattato a 24 immagini al secondo e ridotto a 87 minuti di durata, con una nuova colonna sonora che comprende anche "Love kills", realizzata con la collaborazione di Freddie Mercury. Moroder è, tra l'altro, autore dei brani musicali utilizzati per le Olimpiadi di Los Angeles del 1984 e per le Olimpiadi di Seul del 1988. Tra il 1989 e il 1990 scrive "Shadows" e "Strike like lightning", presenti nel film "Navy Seals - Pagati per morire" e interpretate dai Mr. Big; nello stesso periodo realizza anche "To be number one", destinata ai Mondiali di calcio di Italia '90 e tradotta in italiano da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato in "Un'estate italiana".Nel 1998 grazie a "Carry On" vince con Donna Summer un Grammy Award; nel 2005 viene nominato Commendatore della Repubblica Italiana da Carlo Azeglio Ciampi. In seguito si occupa della realizzazione della canzone "Forever friends", destinata ai Giochi Olimpici di Pechino 2008. Nel settembre del 2010 riceve il titolo di Grande Ordine al Merito della Provincia autonoma di Bolzano, mentre tra il 2012 e il 2013 collabora con i Daft Punk alla creazione di "Random access memories", disco del gruppo francese uscito a maggio del 2013 e che contiene una traccia - la terza - intitolata "Giorgio by Moroder": l'album si aggiudica un Grammy Award nel 2014 come album dell'anno. Nello stesso periodo, Giorgio si occupa della colonna sonora di un gioco sperimentale di Google Chrome, "Racer". Nel 2015 il produttore torna dopo 30 anni con un nuovo album dal titolo "Déjà Vu"; Nelle canzoni collaborazioni con Sia, Britney Spears e Kylie Minogue.
Dire Straits
Le origini della disco music
Oggi si chiama dance ed è il più mainstream dei generi musicali. I suoi eroi sono Lady Gaga, Katy Perry, i Daft Punk e Justin Timberlake.
Tutti figli della disco music, un sound nato 42 anni fa nei sottoscala del Bronx e di Lower Manhattan e diventato il motore di un fenomeno di massa che ha cambiato per sempre il volto e le regole della musica pop. «Restate con noi: tra pochi minuti, sulle frequenze di WPIX, il primo radio show dedicato alla colonna sonora delle notti di Manhattan: la disco music».
Era il 12 luglio del 1974 quendo il deejay della stazione newyorkese rilanciò nell’etere la musica destinata a far ballare il mondo, quella che fino ad allora era patrimonio esclusivo di club privati come il leggendarioThe Loftdel deejay Dave Mancuso, un appartamento di Brooklyn trasformato in discoteca ad inviti con il miglior impianto di amplificazione della Grande Mela e una selezione musicale che attingeva dalle tradizione soul e dai ritmi latini. Le origini della disco music.
"A metà anni Settanta il rock era impegno civile, protesta politica ad uso e consumo quesi esclusivo di ragazzi bianchi e ben istruiti" ricorda Nile Rodgers, fondatore degli Chic, la band che ha trasformato in business il suono della New York underground. "La disco music era invece sinonimo di disimpegno, la celebrazione della vita vissuta come se non ci fosse un domani, senza un senso del limite. Una rivoluzione partita dai basso che in pochi mesi ha trasformato il mondo in un’unica grande discoteca. Come se da un momento all’altro tutti avessero distolto lo sguardo da Woodstock per farsi conquistare da John Travolta e dallaFebbre del sabato sera".
Un fenomeno musicale, ma anche molto altro: "La disco music ha abbattuto antiche barriere. Allo Studio 54, sudati e stremati, uno di fianco all’altro, c’erano i Bee Gees, Andy Warhol, Sylvester Stallone, Elton John, Salvador Dalì, anonimi bancari con in testa piume di struzzo, commercialisti sovrappeso agghindati da drag queen, operai con bicipiti da culturista e tanga in pelle, meccanici, neri, bianchi, asiatici, portoricani, italiani, gay e trans. Tutti uniti dal culto della mirror ball, la grande sfera luminosa appesa al soffitto dei disco club di tutto il Pianeta" racconta Rodgers, che in quegli anni, grazie al successo degli Chic, era una dei pochi vip che aveva accesso illimitato ai mille antri segreti dello Studio 54. "Sesso occasionale a volontà, droga e champagne erano sempre a portata dimano. C’erano uomini che stazionavano nel bagno delle donne travestiti da Liza Minnelli, intrecci di corpi in ogni angolo semibuio, vassoi pieni di cocaina. Dal 1974 al 1979 non credo di aver mai dormito nel letto di " rivela Rodgers (che il 15 luglio porterà a Lucca il suo spettacolo con tutte le hit del’era-disco).
Snobbata dai critici, bollata come spazzatura dagli alteri musicisti rock, la disco sbancò in classifica e nelle radio sull’onda di uno straordinario consenso dal basso. Era musica scanzonata per chi aveva voglia di divertirsi, spesso creata da veri e propri geni del suono, riconosciuti come tali solo a posteriori. Un esempio su tutti: Giorgio Moroder da Ortisei, il pioniere della musica ottenuta dalle macchine: computer e sintetizzatori. I 17 minuti di sospiri e gemiti erotici di Donna Summer in Love to love you baby e l’hit internazionale, I feel love, sempre di Donna Summer sono opera sua. Un giorno, verso la fine dei Settanta, Brian Eno, il guru dell’intellighentia rock, fece ascoltare a David Bowie I feel love. Poi, sentenziò : "David, questo è il suono del futuro". Aveva ragione. Non a caso, le vere popstar del mercato discografico di questi anni sono i deejay. «Non sono stupito» spiega Moroder. «Negli anni Settanta abbiamo messo le basi per questo fenomeno creando dal nulla una musica fatta in una stanza con tre computer, un microfono e due sintetizzatori» .
Fu rapida l’ascesa della disco, ma ancora più veloce il suo declino. "Una parte della white America diede il via una campagna di denigrazione verso la disco e i suoi protagonisti" racconta Nile Rodgers. "Un attacco mediatico micidiale. Non piaceva l’idea che degli sconosciuti diventassero star in poche settimane. Ancora meno piaceva l’idea di un genere musicale che abbatteva le barriere razziali e le differenze tra ricchi e poveri. Nel 1979, un gruppo di rock deejay organizzò l’infausta Disco Demolition Night al Comiskey Park di Chicago, un noto stadio di baseball. Vennero bruciati e distrutti migliaia di album e 45 giri disco music. La folla urlava “Disco sucks”. La scena ripresa da tutti i telegionali, chiuse definitivamente un’era". La fine di tutto? "Assolutamente no" dice Rodgers. "La disco ha solo cambiato nome, ed è diventata dance. Alla faccia dei detrattori. Get Lucky dei Daft Punk, a cui ho dato il mio contributo, è il singolo più ascoltato degli ultimi dieci anni. E che cos’è? Un pezzo disco music, come quelli dei Settanta. Arrendetevi: abbiamo vinto noi".
(fonte: Panorama.it)
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